ENTRO VENERDI’ LA PUBBLICAZIONE IN GAZZETTA DEL DECRETO CON LE NORME DEL CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI

E’ prossima la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge che ha introdotto il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Cerchiamo di capire di cosa si tratta.

La nuova normativa disciplina in modo diverso dal passato lo scioglimento del rapporto di lavoro per i lavoratori che verranno assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del Decreto Legge sul contratto a tutele crescenti.

Le novità riguardano soprattutto i nuovi assunti a tempo indeterminato da imprese che già occupano più di 15 dipendenti nonchè i lavoratori assunti a tempo determinato o con contratto di apprendistato da quest’ultime il cui rapporto di lavoro venga successivamente convertito a tempo indeterminato. Tuttavia, se per effetto di nuove assunzioni, un’impresa che aveva meno di 15 dipendenti supera la soglia dei 15 dopo l’entrata in vigore del Decreto, le norme sul contratto a tutele crescenti si applicheranno a tutti i dipendenti dell’azienda a decorrere dalla data del superamento delle 15 unità.

Queste le conseguenze previste nel caso di licenziamento del lavoratore a tutele crescenti:

Licenziamento nullo o discriminatorio o intimato in forma orale

Se il licenziamento è nullo, discriminatorio o intimato verbalmente il lavoratore avrà diritto alla reintegrazione, nonchè al pagamento di un risarcimento commisurato alle retribuzioni dovute dalla data del licenziamento a quella della reintegra, contributi previdenziali compresi, dedotto quanto eventulamente percepito dallo stesso per effetto dello svoglimento di nuova attività lavorativa (tale risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità). In alternativa alla reintegra, il lavoratore potrà chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione su cui non sono dovuti i contributi previdenziali. Si tratta, in sostanza, della previsione del vecchio art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Licenziamento per giustificato motivo e  giusta causa

Se il licenziamento non è sorretto da giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) o da giusta causa, il lavoratore non ha diritto alla reintegra, ma al pagamento di un’indennità economica, sulla quale non sono dovuti i contributi previdenziali, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR per ogni anno di anzianità di servizio, con un limite minimo di 4 mensilità e un limite massimo di 24 mensilità.

Ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo dei lavoratori assunti con il contratto a tutele crecenti  (ad es licenziamenti economici) non si applica la procedura del tentativo di conciliazione obbligatorio presso la DTL prevista dall’art. 7 della legge 604/1966, così come novellato dalla legge Fornero .

Nel caso di licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo (quindi nei soli casi di licenziamenti disciplinari) ove venga accertato che il fatto per cui è stato intimato il licenziamento non sussiste materialmente,  il lavoratore avrà diritto alla reintegra e al pagamento di un risarcimento commisurato alle retribuzioni dovute dalla data del risarcimento a quella della reintegra,  contributi previdenziali compresi, dedotto anche in questo caso quanto eventulamente percepito dallo stesso per effetto dello svoglimento di nuova attività lavorativa, che non potrà però superare le 12 mensilità. In alternativa alla reintegra, il lavoratore potrà chiedere al datore di lavoro un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione su cui non sono dovuti i contributi previdenziali.

Licenziamento illegittimo per vizi formali e procedurali

Se il licenziamento non è motivato oppure è stato intimato senza il rispetto della procedura prevista dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori per il caso dei licenziamenti disciplinari, allora il datore di lavoro dovrà pagare un’indennità, non assogettabile a contributi previdenziali, pari a una mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del TFR per ogni anno di anzianità di servizio, con un limite minimo di 2 mensilità e un limite massimo di 12 mensilità.

Viene inoltre confermata la previsione, già introdotta dalla legge Fornero, che consente al datore di lavoro di revocare il licenziamento entro il termine di 15 giorni dall’impugnazione dello stesso da parte del lavoratore. In questo caso al lavoratore spetta la retribuzione dovuta per il periodo intercorrente tra la data del licenziamento e quella della revoca, ma non si applicano le conseguenze sanzionatorie al datore di lavoro.

La norma disciplina, inoltre, il caso dei lavoratori che sono entrati a far parte dell’azienda in seguito ad un cambio appalto. Ricordiamo che in questi casi il rapporto non prosegue tra vecchio appaltatore e nuovo appaltatore, come invece accade nel caso del trasferimento d’azienda, ma  si instaura un nuovo rapporto di lavoro. Il decreto legge interviene allora prevedendo che, ferma restando la costituzione di un nuovo rapporto, il lavoratore transitato dal vecchio al nuovo appaltatore conserva, ai fini del calcolo delle indennità dovute per il caso di licenziamento illegittimo, l’anzianità maturata in quello specifico appalto.

Novità per i lavoratori assunti da piccoli imprenditori

Le novità non riguardano solo le aziende che occupano più di 15 dipendenti, ma anche quelle con meno di 15 lavoratori. Ai lavoratori, assunti dopo l’entrata in vigore del decreto legge, che siano stati licenziati illegittimamente sarà infatti dovuto un risarcimento del danno diverso da quello fin’ora previsto dalla legge 604/1966, che ricordiamo andava da un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità con la possibilità di arrivare sino a 10 mensilità per i lavoratori con anzianità di servizio superiore ai 10 anni.

Il decreto prevede che in questo caso i risarcimenti sopra descritti siano dimezzati e non possano, comunque,  superare le 6 mensilità. Quindi il  risarcimento non potrà superare le sei mensilità  e sarà proporzionato all’anzianità di servizio.

Viene confermata l’esclusione per le piccole imprese dell’obbligo di reintegra che, come per il passato, sussiste solo nei casi di licenziamenti nulli, discriminatori e orali.